La storia completa della rivoluzionaria sportiva vecchia scuola a cui non fu mai data una possibilità
Elaborare auto e venderle come costruttore non era più sufficiente.
Era l'inizio 1991 e il sogno di Tomita e Kaira era sempre lo stesso: costruire da zero la propria macchina. L’auto sportiva ideale, semplice, leggerissima, dal prezzo abbordabile ma dalle intense sensazioni di guida.
Discussero del progetto in una riunione del consiglio di amministrazione, dove venivano chiamati ironicamente "nonni" poiché avevano quasi 50 anni.
Essendo entrambi vicini al mezzo secolo di vita, chiamarono il loro sogno avverato con l'abbreviazione "ZZ", trascrizione di due volte "Ji", che in giapponese si traduce appunto in "nonno".
L'auto che Tomita e Kaira hanno in mente è una "barchetta" da corsa degli anni sessanta, ispirata alle macchine con cui da giovane Yoshikazu scorrazzava sulla Tomei Expressway ad alta velocità e alle formule con cui Kikuo aveva corso e che aveva progettato: dalla Lotus Seven per la vasca del telaio a forma di freccia, dalla Porsche 356 per i suoi sbalzi corti, dalla Porsche 904 GTS da cui ha ereditato il layout meccanico (quasi, per via del motore boxer) e le sensazioni di guida , dalla Alpine A108 per i fari, dalla Porsche 912 per la scelta di un motore più piccolo, meno potente ma anche meno pesante, che rendeesse il comportamento della vettura più amichevole.
La semplicità dell'auto fu stata un fattore determinante anche nel processo di progettazione: l'auto è stata concepita appoggiando sul pavimento parti prelevate dagli scaffali, come il motore, la trasmissione, le ruote, i sedili, daato che volevano utilizzare più parti esistenti possibile per contenere i costi.
Nel 1992 un mulo di prova era già pronto e fu iniziato il lavoro di setup e sviluppo del telaio con gli pneumatici Dunlop, con Keiji Nakajima e lo stesso Kikuo Kaira al volante (puoi vedere Kikuo nella foto). Il muletto di prova era così leggero che dopo alcuni giri le gomme non si erano nemmeno consumate, contrariamente a quanto si aspettava lo staff Dunlop.
Nel 1993 viene aperta una sede di ricerca e sviluppo a Kameoka, vicino a Kyoto. La progettazione fu affidata al team del vice-presidente Kaira, e dopo mesi di test, con il supporto di vari piloti, la “sportiva ideale” fu presentata il 24 Luglio 1995 al Prince Hotel di Tokyo, in diretta TV, di fronte a 150 persone tra cui 10 testate giornalistiche estere e il presidente di Nissan America a presenziare l’evento.
Dopo un mese, Tomita chiuse gli ordini con 430 acconti ricevuti.
Il 3 Giugno 1996 vide la luce la Tomita Auto UK Ltd., nel complesso industriale di Ironside way a Hingham nel Norfolk: una costola della Tomita Auto Co. Ltd. (la corporate company) per costruire la sportiva ideale nell’arco di tempo di tre anni al ritmo di 12 vetture al mese.
Il presidente della compagnia non era altri che l'ex pilota di F1 e prototipi Hiroshi Fushida, presidente anche di TOM’S GB e già residente a Norwich, una leggenda in Giappone ancora oggi.
Avendo vissuto a Kyoto, era a conoscenza del progetto ZZ sin dall'inizio. Conosceva Tomita e Kaira dal 1972, quando Tomita Auto era appena stata creata. Fushida ha poi lavorato con Kaira nel team Esso Racing correndo con le formule di bassa cilindrata (Formula Libre 500, Formula Junior 1300, Formula Junior 2000 e così via).
[TOM’S GB era la filiale inglese di TOM’S fondata per fornire i motori alle Euro F3 di TOM'S e costruire le Toyota Taka-Q da Gruppo C: la società è stata successivamente acquistata da VW nel 1998 e trasformata in Racing Technology Norfolk, che ha progettato e prodotto la Bentley Speed 8, con Fushida come amministratore delegato.]
A Luglio invece la Dream Factory diventa una società: la costruzione delle auto non fa più capo alla Tomita Auto Co., ma alla Tomita Yume Koujou Ltd., con cui vengono gestite sia importazione, che immatricolazione, che vendita.
Perché costruire in Regno Unito un’auto da vendere solo in Giappone?
Oltre a questioni pratiche, cioè trarre vantaggio dalle agevolazioni sui crash test per i piccoli produttori, l'Inghilterra era la patria delle auto sportive e da corsa di piccola produzione, quindi sarebbe stato più facile e meno costoso trovare lì fabbrica e lavoratori già formati invece che in Giappone. In effetti, la maggior parte dei lavoratori della Tomita Auto UK erano ex meccanici Lotus.
Il design della vettura fu portato avanti durante il 1993 insieme al progettista della Mooncraft, Takuya Yura, che curò la modellazione del modello in scala e quindi della realizzazione dello stile. Il design proposto da Yura era così bello che Tomita se ne innamorò, quel tipo di amore che una persona può provare per il proprio animale domestico.
La carrozzeria in fibra di vetro vanta delle forme uniche, a partire dalla linea di cintura filante, ma raccolta in coda; gli sbalzi ridottissimi, con un muso rotondo e dei fari circolari non carenati, per metà incassati nel cofano e per l’altra metà in rilievo, come per la Alpine A110 da cui fu tratta ispirazione, e una coda tronca che guarda all’insù.
La carrozzeria veniva costruita in Kent e verniciata da Tomita Auto UK.
Il tettuccio asportabile ha la doppia gobba, firma di Zagato; visivamente è un prolungamento slanciato del parabrezza che si adagia dolcemente sul roll-hoop in tubi di acciaio. Ha la particolarità di poter essere smontato e ospitato sopra il cofano motore in un modo che richiama fortemente il posteriore della storica Porsche 718.
Curiosamente, le caratteristiche portiere della ZZ non erano in realtà previste nel concept iniziale e furono aggiunte in un secondo momento, ma senza maniglia esterna, poiché non erano previste serrature. Anche per questo motivo, nemmeno acquistando l’hardtop si ricevevano dei finestrini fissi, poiché la maniglia interna doveva essere raggiungibile senza rimanere chiusi fuori.
Il piccolo tettuccio può essere fissato al cofano motore con quattro bulloni, uno su ciascuno dei suoi quattro angoli, progettati per mantenere il pannello fluttuante e per far passare un po' d'aria nelle feritoie del cofano.
Un particolare presente nel concept, ma scartato in produzione, era un profilo di gomma da applicare sul bordo del cerchio, per evitare di rovinare la ruota contro i marciapiedi...
... A testimonianza di quanto l’auto fosse concepita per essere usata in ogni contesto, seppur priva persino di finestrini (l’hardtop era un accessorio da una ventina di chili), ripagando ogni scomodità con un piacere di guida puro e distillato.
L’hardtop aveva il lunotto in acrilico e i finestrini in polipropilene, apribili con una lampo lungo il loro perimetro
La maniglia interna, invece, era ricavata in una fessura di stampo, sotto la portiera. Anzi, era la fessura stessa, attraverso la quale si agisce direttamente sulla leva che disimpegna il meccanismo di chiusura delle porte.
Notare anche come, dato che “this car has no glovebox” (cit), l’unico spazio utile per riporre gli effetti personali sia ricavato nel brancardo del telaio, a portata di mano e anche di pioggia.
Il telaio, costruito dalla stessa Arch Motor di Huntingdon che forniva i telai delle Lotus Type 7 e 23 e che produceva parti per Lola, Ford GT40 e altri prototipi, era una vasca in estrusi di alluminio a sezione quadrata, saldati, a cui erano imbullonati due telaietti in acciaio: uno a sostegno delle sospensioni e del guscio anteriori, uno a sostegno del motore, delle sospensioni e del guscio posteriori. Più precisamente, ogni triangolo delle sospensioni anteriori aveva un perno collegato direttamente al telaio, come nelle auto da corsa.
Altri particolari del telaio furono fabbricati presso la Tomita Auto UK o importati dal Giappone.
L’assenza di qualsivoglia comodità e rifinitura (leveraggi del cambio e dei pedali a vista, pavimento in nudo alluminio...) contribuiva a fermare l’ago della bilancia 50kg più in basso che per la Lotus, a 670kg.
I freni erano composti da quattro dischi AP Racing (autoventilati solo davanti), con opzionale una pinza Brembo a due pistoncini all’anteriore.
Gli ammortizzatori erano Bilstein e poteva essere installato un assetto con molle da 4 e 6 kg/mm rispettivamente all’anteriore e al posteriore.
Se non fosse bastato ciò, non c’è un fiacco Rover serie K a dare coppia alle ruote posteriori con battistrada da 205mm, ma quello che sarebbe giusto chiamare un Nissan SR20DS, preso in blocco insieme alla trasmissione della Nissan Primera HP10, spedito “nudo” da Nissan Netherlands a Norwich.
Se vi chiedete dove è finita la “E” che è solitamente presente nel codice motore, vi stupirà sapere che è stata “spazzata via” da due carburatori da moto, i Keihin FCR da 45, capaci di alimentare il motore fino a 180PS nella versione base, o 195 nella versione più spinta (ZZ-S).
Nonostante l'alimentazione a carburatori e grazie alla sua leggerezza, la ZZ consuma mediamente 10km/l e arriva a 12 con una guida attenta.
Come per le altre Tommy Kaira, erano disponibili a listino vari stage e optional per il motore e la ciclistica. Lo Stage 1 per 600 JPY comprendeva: sedi valvole lucidate, albero equilibrato, camme ad alzata maggiorata, nuove pulegge per la distribuzione, nuova guarnizione di testa e un setting generale dell’alimentazione. Lo Stage 2 per 1.060 JPY aggiungeva allo Stage 1: pistoni SR16VE, bielle rinforzate, nuove molle valvole, candele NGK, guide valvole in bronzo, pistoni riequilibrati, testa lucidata. Lo Stage 3, tramite pistoni appositi con CR di 12:1, portava la cilindrata a 2 litri e 2, mentre lo Stage 4 prevedeva testata a iniezione elettronica con centralina riprogrammata intervenendo su anticipi e iniezione.
Erano disponibili, per migliorare la risposta, un volano alleggerito (da 8.7kg a metà) e un rapporto finale accorciato.
Il carburante era stipato in un serbatoio da 45L posizionato appena dietro il sedile del passeggero, in modo da non rubare spazio al conducente in un’auto già piccola di per sé.